Deserto del Taklimakan

Periodo:ottobre-novembre 1998

“Il deserto della morte irrevocabile”. Questo vuol dire Taklimakan in lingua Uyguri, il popolo che sui bordi di questo deserto sopravvive in condizioni estreme. Secondo loro chi vi entra non ne esce più. Lo sapevano fin dai tempi di Marco Polo: infatti nessuna delle numerose carovane che per secoli hanno percorso la Via della Seta, l’ha mai attraversato.E’ situato a nord-ovest del paese in una depressione delimitata dalle grandi catene Himalayane. E’ considerato il secondo deserto al mondo dopo il Sahara per superficie inabitabile.

Carla decide di tentare la sua impresa più difficile: con uno zaino di 24 chili in spalla ed in autosufficienza, si propone di attraversarlo a piedi da sola da sud a nord, primo essere umano al mondo.

Il 26 ottobre parte da Seghez, piccola località a nord di Yutian, nella parte meridionale del Taklimakan, assistita come sempre dal marito e da una piccola squadra di supporto. Nello zaino, oltre al materiale da campo che comprende sacco a pelo, un fornelletto in titanio e una piccola tenda ultraleggera di 900 grammi, trasporta pochissimi capi di abbigliamento tecnico, una camera digitale, macchina fotografica, un piccolo cavalletto per le riprese. Legato al torace porta un cardiofrequenzimetro che dovrà rilevare l’affaticamento fisico dell’atleta. Mantiene i contatti con la squadra di appoggio per mezzo di un telefono satellitare pesante 2 chili e mezzo e alimentato da un piccolo pannello solare legato allo zaino. Per ridurne il peso, si nutrirà quasi esclusivamente con prodotti liofilizzati altamente energetici e con pillole, le stesse usate durante le missioni spaziali: dovrà assumerne 27 al giorno. Il peso del materiale è di 18 chili, a cui vanno aggiunti sei litri d’acqua, per un totale di 24 kg.

Nella prima parte del percorso, Carla camminerà nel letto asciutto del Keriya, uno dei fiumi fantasma che percorrono le sabbie del deserto nel periodo del disgelo dei grandi ghiacciai, dove prevede di trovare delle piccole pozzanghere alle quali rifornirsi d’acqua. Purtroppo spesso è imbevibile a causa dell’alta concentrazione di sale ed allora è costretta a deviare dalla rotta per cercarla altrove. Come sempre ha con sé un GPS, per il rilevamento della rotta ed ogni sera via telefono comunica la sua posizione alla squadra che la segue a circa 80 chilometri di distanza.

Dopo pochi giorni, una terribile piaga al tallone sinistro rischia di compromettere l’impresa, ma per miracolo alla piccola oasi di Daheyan trova un paio di scarpe cinesi e con queste riesce a continuare

Percorre 150 chilometri prima di arrivare alla zona inesplorata, la parte più difficile della traversata. “Davanti a me si stende a perdita d’occhio l’immensa distesa delle grandi dune, belle da togliere il fiato: Chiedo in silenzio a Chi mi segue dall’alto di darmi la forza per andare avanti, poi ad alta voce mi rivolgo al Deserto: ti prego, lasciami passare”.

Tra le dune non esiste acqua. Dopo la partenza di Carla, i suoi compagni con una carovana di cammelli entrano nel deserto per posizionare quattro rifornimenti di 6 litri ciascuno, che l’esploratrice dovrà trovare con il GPS in base alle coordinate trasmesse via telefono. Per tutta l’impresa non avrà alcun contatto con la squadra e se dovesse mancare anche un solo rifornimento, sarebbe costretta a fermarsi.
Il consumo d’acqua è abbastanza ridotto, grazie alle temperature relativamente basse, da un massimo di 35 gradi di giorno, ad un minimo di –12 durante la notte.
E’ stato proprio il freddo notturno il grande nemico di Carla: nella piccola tenda tutto diventa di ghiaccio e le notti cinesi lunghe quasi dodici ore, diventano un incubo. Per una settimana cammina su e giù da dune alte centinaia di metri, simili a cavalloni di un oceano che si stendono a 360 gradi, appoggiandosi ad un paio di racchette da sabbia, senza mai incontrare alcuna forma di vita e riesce a raggiungere tutti i rifornimenti.

Dopo 270 chilometri dalla partenza Carla arriva al massiccio del Mazar Tagh, che segna la fine del tratto più pericoloso. Riesce a trovare l’alveo di un altro fiume asciutto, l’Hotan con delle piccole pozzanghere e per raccogliere l’acqua spesso deve rompere il ghiaccio della superficie. La temperatura continua a scendere ed un vento gelido accompagna la marcia L’aspettano ancora 280 chilometri di marcia estenuante in un ambiente monotono, con un vento gelido e temperature sempre più basse: il fabbisogno d’acqua giornaliero scende ad un litro e mezzo.

Il 18 novembre, dopo 24 giorni di completa solitudine e 550 chilometri Carla arriva a Luo Tuan, piccolo centro nei pressi di Aksu sulla sponda nord del deserto, dove termina la sua traversata. Ad attenderla trova il marito con la squadra al completo, la tv cinese e numerosi giornalisti. Con loro c’è anche il padre di un ragazzo cinese che le porge alcune foto del figlio, morto l’anno prima nel tentativo di attraversare il Taklimakan.

Con lo zaino sulle spalle, Carla si inginocchia verso il deserto e lo saluta. Nella sabbia dell’ultimo campo ha sepolto una scatolina con un messaggio d’amore e di ringraziamento per il Taklimakan che le ha permesso di realizzare il suo sogno.