Salar de Uyuni

Periodo: ottobre del 1994

Il Salar de Uyuni è il più vasto e il più alto bacino salato della terra, 10.000 chilometri quadrati di crosta salata spessa a volte decine di metri a 3.700 metri di altezza.

Si trova in Bolivia, nella parte sud-ovest del paese, quasi ai confini con il Cile e non è mai stato attraversato a piedi ed in solitario da alcun essere umano. La gente del posto lo teme a causa degli “Occhi del Salar” che secondo le leggende Incas inghiottivano le carovane che a quei tempi vi si avventuravano. In realtà non sono altro che buchi nella superficie salata dai quali esce l’acqua sottostante, molto pericolosi perché in condizioni di luce particolari sono quasi invisibili.

Carla decide di tentarne la traversata da sola, senza alcun collegamento radio. Per trasportare tutto il materiale necessario, viene progettato un carretto in lega leggera montato su tre ruote da mountain bike, che dovrà trascinare per mezzo di un’imbragatura collegata a due stanghe e che pieno carico pesa 130 chili.

Parte da Colchani, piccola località ai bordi del Salar il 16 ottobre e dopo sei giorni e 180 chilometri di marcia in direzione est-ovest, raggiunge Llica, sulla sponda opposta del lago.

La terribile escursione termica (+ 25 gradi di giorno e –20 durante la notte) il clima asciutto ed il vento gelido che spazza inesorabile il Salar durante la notte mettono a dura prova il fisico di Carla. E’ costretta a dormire nel carretto che svuota ogni sera: completamente vestita, si infila nel suo rifugio e chiude il telo che lo ricopre, mentre le raffiche colpiscono inesorabili l’unico ostacolo che incontrano in centinaia di chilometri, facendolo vibrare paurosamente.

L’azione combinata di sole, altitudine, sale e vento, ben presto riempiono la pelle di Carla di tagli e abrasioni e nonostante le creme protettive le labbra si coprono di herpes.

Anche gli occhi, protetti da ben due paia di occhiali sovrapposti, incominciano a soffrire di congiuntivite. Ogni centimetro del corpo è coperto e l’immancabile chèche, il turbante di cotone dei Tuareg si rivela indispensabile, ma nulla può contrastare il terribile clima del Salar.

Una dolorosa piaga al piede aumenta lo sconforto. “Un senso di angoscia mi pervade, dapprima lentamente, poi si diffonde con maggiore intensità; ne riconosco subito i sintomi…. È la crisi dell’inizio, quella che nel Ténéré aveva scatenato quel terribile conflitto interiore…. Sono sola con il carretto, mi avvicino al mio mezzo e gli parlo: “Coraggio Chico, è dura ma possiamo farcela, aiutami ad andare avanti, possiamo venirne fuori” Dare la vita ad oggetti inanimati è come ritornare all’infanzia, quando ci si crea un mondo dove rifugiarsi al sicuro dagli attacchi esterni. Sento che funziona. Un grande senso di tranquillità si sostituisce all’angoscia.”

Per seguire la rotta Carla utilizza un GPS, il sistema di rilevamento satellitare oggi più diffuso; il quarto giorno il marito, con un piccolo aereo da turismo la sorvola per qualche minuto, per verificare quanta strada ha percorso e per scattare alcune foto dall’alto: le turbolenze presenti sul lago sono molto pericolose e l’aereo deve mantenersi ad una certa quota per non venire risucchiato.

L’ambiente è talmente bello da sembrare quasi irreale e basse cornici di sale rendono la superficie simile ad un mosaico illuminato dai continui cambiamenti di luce. “Il Salar si prepara allo spettacolo di un nuovo tramonto……Mi alzo in piedi, sfilo i guanti e con gli occhi umidi per l’emozione applaudo, a lungo.”

Il consumo d’acqua è molto ridotto rispetto al Ténéré e non supera i quattro litri al giorno. Carla stabilisce una tabella di marcia che prevede una breve sosta ogni ora per controllare la rotta ed assumere degli integratori. Verso mezzogiorno si ferma per un’ora e mezza: non ha quasi mai fame, l’unico alimento che desidera è un brodino caldo fatto di dado, aglio, peperoncino ed un poco di grana. La sera usa invece cibo liofilizzato in buste.

Appena inizia a soffiare il vento, intorno alle cinque, è costretta a fermarsi, preparare il campo prima del buio e fissare tutto il materiale per evitare di perderlo durante la notte. Ogni piccola distrazione può costare cara.

Per tutta la traversata, non ha incontrato alcun essere vivente: solo a due ore dall’arrivo ha visto una mosca.

A Llica, insieme al marito ed all’autista del fuoristrada di appoggio, c’era una piccola folla di abitanti ansiosi di conoscere la donna che da sola aveva osato sfidare il Salar.

Una donnina in particolare si avvicina e le chiede in spagnolo: “Ma cosa hai fatto di tanto grave perché tuo marito ti abbia costretto ad attraversare il Salar de Uyuni?”