Deserto del Kalahari
Periodo: aprile del 1996
Un tavolato desertico grande due volte l’Italia si estende tra
Namibia e Botswana, nell’emisfero australe a sud del continente
africano: è il deserto del Kalahari, territorio dei boscimani,
l’unico popolo in grado di sopravvivere in una delle zone più
aride della terra. Grazie ad una micro stagione delle piogge,
il Kalahari ha l’aspetto di una savana abitata da una grande
varietà di animali: dai pericolosi insetti velenosi, ai serpenti
mortali, fino a gazzelle e struzzi per finire a iene e leoni,
ogni incontro è possibile in questo luogo pieno di contraddizioni
e di grande fascino.
Carla decide di tentarne la traversata a piedi ed in autosufficienza:
lo scopo è quello di verificare se un essere umano che non è nato
nel deserto, può adattarsi a viverci come le popolazioni che da
sempre lo abitano.
Riesce a farsi accettare da una piccola comunità boscimana, che
in pochi giorni le insegna i rudimenti della sopravvivenza in
condizioni estreme. E’ un’esperienza che le cambia la vita: il
contatto con il Piccolo Popolo, anche se breve, lascia una traccia
profonda nell’animo dell’esploratrice.
“Prendi dal Kalahari solo quanto ti serve per vivere. Rispetta
ogni animale che incontri e vedrai che anch’essi ti rispetteranno…….
sarà una prova molto dura ma i Boscimani ti accompagneranno sempre
con il pensiero e ti aiuteranno. Il Kalahari non ti è nemico:
accettalo per quello che è.”
L’11 aprile lascia il villaggio boscimane e con uno di loro, il
cacciatore Kase, inizia la traversata partendo da Mamuno,
una località del comprensorio di Charles Hill in Botswana,
con uno zaino di 18 chili. Ha con se solo sette litri d’acqua
ed una manciata di biltong, la carne di gazzella essicata di cui
si cibano i boscimani durante le loro spedizioni di caccia. Per
tutta la durata dell’impresa si nutrirà solo di ciò che troverà
nel deserto, senza usare alcun tipo di integratore alimentare.
Sarà compito di Kase, il suo compagno di viaggio, indicarle
cosa è commestibile e dove trovare l’acqua.
Nello zaino trasporta: tenda e sacco a pelo, un kit di pronto
soccorso con una pompetta manuale aspira-veleno, una radio, un
GPS, un visore notturno, una macchina fotografica ed una piccola
telecamera. Percorre 350 chilometri in 15 giorni in direzione
sud-est, mangiando solo bacche, radici, resine e nocciole. Il
contatto radio con la squadra di appoggio guidata come sempre
dal marito, che si trova a diverse decine di chilometri di distanza
con due fuoristrada, si interrompe dopo dieci giorni a causa delle
batterie scariche. Le temperature oscillano dai +40° ai +5° durante
la notte. Ogni sera Carla si ripara nella tendina ultraleggera
studiata appositamente per l’impresa, mentre Kase dorme
accovacciato accanto al fuoco che mantiene acceso tutta la notte
per tenere lontani gli animali.
La marcia diurna è estenuante: camminano tra arbusti spinose ed
erbe secche nelle quali si annida ogni sorta di pericolo, soprattutto
serpenti e scorpioni, su un terreno percorso da tane sotterranee.
Il clima è più umido rispetto a quello dei precedenti deserti
e Carla è costantemente bagnata dal sudore che le macera la pelle.
Nelle ore centrali della giornata, sono costretti a fermarsi e
cercare riparo all’ombra di qualche acacia spinosa, per non disperdere
troppi liquidi.
Ormai le scorte d’acqua si stanno esaurendo ed incomincia il dramma
della sete. Anche i gusci di uova di struzzo che Kase usa come
borracce sono ormai vuote, ma l’acqua non si trova.
“…. Con la mente sono riuscita a controllare fame, fatica, sofferenza,
ma non riesco a trovare il modo di controllare la sete…. la lingua
è diventata gonfia e spessa, mi sembra di avere in bocca della
carta vetrata e inutilmente cerco di formare qualche goccia di
saliva. “Il vero campione è quello che sa perdere.” “Ripeto la
frase a voce alta e decido: se entro domani mattina non troviamo
l’acqua, rinuncio.”
Quasi per miracolo, il giorno successivo arrivano ad un piccolo
villaggio dove possono fare rifornimento. Per Carla è il segnale
che il deserto non le è nemico, ma vuole aiutarla a continuare,
proprio come le avevano predetto i boscimani. Anche con gli animali
non ha problemi: “Rispettali e anche loro ti rispetteranno.” E
così è stato.
A due giorni dalla fine, Kase la lascia e torna indietro:
stanno uscendo dal territorio boscimane e lui, timido e schivo
come tutta la gente della sua tribù, non vuole arrivare tra estranei.
E’ sola, senza neppure il collegamento radio.
Il 25 aprile Carla arriva a Lehututu, il luogo previsto
per l’incontro con la squadra di appoggio e fine della traversata..
E’ stremata, ha perso cinque chili di peso ma è riuscita a portare
a termine con successo la sua impresa. Oscar il marito le allunga
una borraccia d’acqua: mentre la beve se la versa addosso inzuppandosi
il turbante dei tuareg: l’incubo della sete è finito.
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